- Ti ho chiamato. Un paio di volte. Ma lo sai già. Allora perché ti scrivo? So bene che non hai né minuti né credito. Ma tant'è forse mi aspettavo un cenno. Naturalmente sarai stato fuori e ti si è scaricato il cell (prima o poi bisognerà fare una colletta per l'annoso problema).
Ovviamente non tuo. Tu non hai bisogno di comunicare, parlare con un altro essere umano. Basti a te stesso tu. Ti invido.
Io d'altronde essendo fragile, eccessivamente, parafrasandoti, racchiudo in me tutte le debolezze, anche quelle nervose.
Oggi ho messo ordine tra gli appunti, ho allargato il piano del tavolo in cucina predisponendo il tutto all'efficienza, come si conviene e... ho fatto svariate lavatrici. Si, hai inteso bene, come se lo sciabordare continuo servisse a ripulire il mio derelitto sentire. Guardandone l'oblò (della lavatrice of course...) il rimescolare di tovaglie sembrava il mio cervello intriso e zeppo di farfalle - quelle dello stomaco - idee - a vanvera - amori e morte e altre sciocchezze - citando a braccio il Guccio.
Buoni propositi triti e ritriti di chi sa, in fondo al proprio io, di quanto è stolto ripromettersi di fare, agire, divenire assertivi.
Prima o poi. Lo farò.
E non farlo.
Naturalmente comprendo che lo sfinimento verbale porta inevitabilmente a fughe, legittime e precipitose talvolta.
Ogni limite ha la sua pazienza.
Perché, quindi tutto ciò? Perché facendo uscire dalla mia testa i pensieri forse... spero, di ottenere un po' di pace. Per andare avanti. Senza farmaci, spero, ma è dura baby, veramente tanto dura.
Ripongo fiducia nel fatto che vorrai perdonarmi della presente, ma in fondo spero sempre nella bontà degli sconosciuti.
Adesso ti saluto. La lavatrice ha terminato il risciacquo.
Metto i panni a stendere.